Voglio.

Nel 2017 voglio svegliarmi senza avere sonno e senza mettere la sveglia. Voglio canzoni stonate intorno ad un fuoco, cantare a squarciagola in macchina per sfogarmi divertendomi un casino. Voglio regali inaspettati anche se minuscoli, voglio infilare le mani in pantaloni che non porto da un po’ e trovarci 5 euro. Voglio origliare qualcuno che parla bene di me e sbirciare qualcuno che non sa di essere sbirciato mentre fa una cosa buffa.

Voglio cene offerte senza motivo, chiacchierate lunghissime da non avere voglia di andare a dormire finendo a guardare l’alba con gli occhi gonfi di sonno. Voglio shopping in cui trovo subito la cosa precisa che cerco, della mia taglia, e in sconto. Voglio capelli senza doppie punte, denti senza carie e peli che non crescono mai. Voglio trovare parcheggio vicino a dove devo andare, o dover andare solo in posti dove posso arrivare in bici.

Voglio salire tutte le montagne di cui ho sentito i nomi e voglio ricordarmeli quando le persone mi chiedono dove sono stata. Voglio arrivare in cima senza essere senza fiato, per poterlo perdere di nuovo quando mi guardo attorno e mi rendo conto della meraviglia che mi circonda. Voglio restare in silenzio a guardare la luna piena consapevole che non mi giudica mai.

Voglio bere senza scottarmi e mangiare senza sporcarmi. Voglio il letto rifatto e le lenzuola pulite. Voglio innamorarmi di un sorriso, scoprire un segreto e custodirlo, regalare complimenti e dare baci inaspettati. Voglio imparare ad abbracciare, imparare a telefonare senza vergognarmi, a parlare davanti alle persone e che io sono molto di più di quello che credo di essere.

Voglio un mio personale vichingo, voglio fare la zia fino allo sfinimento e la sorella come non mai. Voglio giocare come se non avessi mai giocato e vedere cose con occhi diversi. Voglio vedere nuovi posti e conoscere nuove persone, amare i vecchi posti e valorizzare gli amici che ho. Voglio un posto mio per vivere me stessa e condividerlo con altri, voglio la libertà di poter decidere e la forza di dire di no.

Voglio gambe forti e spalle segnate dallo zaino, viso bruciato dal sole e dal freddo e occhi mai stanchi di meravigliarsi. Voglio la forza di affrontare tutto questo e molto altro, perché sarà soprattutto il “molto altro” a presentarsi come sfida.

Buon 2017!

Vally

Sintetizzando un sogno.

Non so dove sono. Per venire qui ho seguito una macchina, gira destra gira sinistra, ad un certo punto mi son anche chiesta se fosse la macchina giusta da seguire. Sai che stile che si fermava nel parcheggio e scendeva uno che non avevo mai visto.
Sono circondata di persone che non conosco, mai viste, vestite strane. Non so dove sono, non riconosco il posto, non so dove sia il bagno. Calcolo la distanza da me alla porta, calcolo da dove vengono le luci, calcolo da dove viene il caldo, calcolo quante persone ci son nella stanza e quante ce ne potrebbero stare. Appena finiti i calcoli mi dimentico i risultati e mi dimentico perché li stavo facendo.
I visi sconosciuti mi guardano e mi sorridono, espressioni tutte uguali, come se tutte avessero una stessa maschera con l’espressione congelata. Qualche stretta di mano, qualche nome da scordare immediatamente, come i calcoli di prima. Mi appoggio ad un muro per non ingombrare il passaggio frenetico delle maschere, e mi accorgo che il muro appiccica. È tutto senza senso e mi richiedo come sono capitata lì ma continuo a non avere risposta.
Stacco la mia felpa dal muro, accetto una birra che mi viene offerta, apro la lattina, faccio per bere ed è vuota. Ne prendo un’altra ma non si apre. Le butto entrambe, ma quando mi giro sul bancone ce n’è una aperta con un bicchiere pieno vicino, comparso dal nulla. Mi dico che dovrei essere spaventata, penso che non è un avvenimento logico, ma son tranquilla quindi prendo il bicchiere e bevo. Le maschere mi tranquillizzano e con il loro sorriso di cartone mi assicurano che va tutto bene.
Non capisco cosa mi dicono, parlando tutti assieme vengono coperte da un rumore assordante, sempre uguale, sempre più forte. Vedo una faccia conosciuta, una faccia senza maschera, mi abbraccia, mi sorride, mi bacia. Ma continuo a non capire quello che mi dice e mentre parliamo diventa qualcun altro e a me continua a sembrare normale.
Solo il posto sconosciuto non cambia. In un momento di silenzio ripartono i calcoli, che ore sono, dove ho messo la macchina, avevo la giacca, dove ho messo la giacca. La faccia conosciuta è sparita, e io sono improvvisamente in un altro posto, la stanza è scomparsa e sono in mezzo ad un prato, con un sole accecante e tantissimi fiori.
Chissà dove ho messo la giacca.

ricrescita, rinascita, ridefinizione: è come quando…

Mi piace paragonare le situazioni a qualcosa che conosco già, utilizzando l’espressione “è come quando“. D’altra parte, il processo di apprendimento funziona proprio così. Apprendiamo attraverso i paragoni. Associando cose che non conosciamo a cose note, le definiamo e riusciamo ad incasellarle in un abbecedario di conoscenze che abbiamo già. Questo concetto si avvicina di più alle regole della pallavolo o al procedimento per fare i pancake? Al sentiero che va in Grappa o ai sapori del cenone di Capodanno? E via ad attribuire gradi di somiglianza. Se non troviamo nulla di somigliante, lo parcheggiamo in uno slot nuovo, in attesa di qualcosa di simile. Se ciò arriva in poco tempo dà il via ad un agglomerato nuovo, un nuovo livello di apprendimento o di ampliamento di un concetto. Altrimenti lo si dimentica.

“È come quando…” funziona allo stesso modo. Spiegarsi fa parte della Comunicazione, ma parlare di sé è quanto di più difficile possa esistere.

Qui, e ora, è come quando esco da una stanza molto buia nella quale sono stata per diverso tempo e vado verso il sole e l’aria fresca. Subito, mi infastidisce la luce, la temperatura è troppo fredda , l’aria è troppo…aria. Gli occhi bruciano e sono sopraffatta ed infastidita. È quando capisco che  il buco dove sono stata è la parte negativa e non il contrario che inizio a godere della nuova condizione. È così che mi sento ora.

È come quando non so cosa dire e parlo di cose senza senso, o mi limito a sorridere in silenzio a chi mi sta attorno.

Universi Paralleli

Il signore totalmente anonimo di fronte a me tira fuori un blocco di fogli tenuto dentro una busta di plastica, di quelle da quaderno ad anelli, li estrae a metà lasciando la parte inferiore nella busta ed inizia a leggere. È una serie di spartiti. In silenzio, tenendo il tempo un po’ a mente, un po’ con la matita e con il piede, studia.
La musica è una lingua che non sono riuscita ad imparare, e mentre per me quelli sono fogli muti, invidio lui e la sua conoscenza.
Chissà in che mondo è proiettati, cosa c’è ora nella sua testa, nel suo microscopico, personale ed immenso universo. Chissà che sinfonia si sta svolgendo silenziosa per lui, sotto i suoi occhi. Nica’s Dream, si chiama. Lui sembra correggerla, allungare qualche nota, sistemarne altre come farebbe una maestra di italiano sul tema disordinato di un alunno pigro.

Alla sua sinistra, dall’altra parte del corridoio, una signora. Di certo non una nativa digitale, d’altra parte non lo sono neanche io, ma almeno lei ci prova. È vestita bene, elegante e abbinata come neanche ai matrimoni io riesco ad essere. Gli occhiali bianchi con le stanghette tartarugate le danno un’aria moderna. Almeno lei ci prova, dicevo. Appoggiato al tavolino del treno, quello microscopico dove non ci sta neanche una copia di Topolino, tiene un iPad dal quale legge e sul quale tappetta continuamente. Scusate, non lo so il corrispettivo del verbo cliccare con i dispositivi touch, quindi accontentatevi.
Tappetta. E ad ogni tap un’espressione diversa, divertentissima. Ora è soddisfatta. Poi ride sotto i baffi. Poi quella faccia che faccio io quando qualcuno che non ho la minima idea di chi sia mi saluta per nome e mi chiede come sto. È stupendo come non si trattenga minimamente dall’esternare le sue emozioni, squotendo la testa con vigore quando trova qualcosa che proprio non la convince. Non vedo cosa c’è sull’iPad, scoprire che magari sta giocando a Candy Crush sarebbe esilarante.

La ragazza coreana al mio fianco ha provato senza successo ad attaccare alla presa elettrica l’adattatore da viaggio. Il “coso” era talmente pesante che staccava tutto e le cadeva sulle gambe, quindi dopo avermi detto “sory” due tre volte… ha rinunciato. Lei e il suo ragazzo stanno in viaggio; saliti a Firenze, se ne vanno a Roma in quel turbinio di tappe interminabile che piace tantissimo agli orientali: 7 giorni di viaggio 7 capitali italiane. Quei viaggi che per noi ciabattoni criticoni bracaloni fanfaroni sono assolutamente impensabili, ma solo perché pensiamo di essere i migliori dell’universo. Che poi io, dall’altra parte, non concepisco neanche una settimana in albergo a Caorle.

Quanti universi paralleli in poco più di 5 sedili.

Chissà.

La donna arriva a casa e si smonta.
Scende dall’impalcatura, toglie i bulloni, la sicura, le scarpe anti infortunistica. Toglie il trucco che irrita, scende dai tacchi che gonfiano i piedi. Via gli orecchini che pesano, scioglie i capelli raccolti in code che tirano la pelle e fanno male la testa. Sfila i jeans che fasciano la gamba e tirano in vita, slaccia il reggiseno che stringe e lascia il segno sulla pelle. Continua a leggere

Camminando, rinascendo

Non è l’abbigliamento da ufficio il mio vero abbigliameto, non sono le scarpe da festa le mie vere calzature, né la metropolitana il mio vero mezzo di trasporto. Sotto una pioggia leggera ma insistente, circondata di alberi alti e saggi, con il viso bagnato e tutti i sensi attivati, chiudo gli occhi e penso, e mi sento soffocare. Mi sento soffocare dentro un tubo di metallo che corre rumorosamente in un tunnel buio e umido; mi sento soffocare costretta in una scarpa bassa e fintamente elegante, che prende gli apprezzamenti di chi mi sta attorno ma è insultata dai miei piedi; mi sento soffocare sotto un’acconciatura che reggerebbe solo se stessi ferma immobile in una stanza con 0% di umidità, un’acconciatura che vorrei mandare a quel paese subito, ma non si può, perché bisogna fare le personcine perbene. Mi sento soffocare. Allora apro gli occhi e vedo che agli alberi non gliene frega niente, della mia acconciatura. Sento che alla pioggia non gliene può fregar de meno di quello che indosso e la sento gioire e sghignazzare nel rimbalzarmi più insistentemente addosso, con le gocce che fanno gara tra di loro a chi riesce a penetrare più a fondo nei miei vestiti, nei miei capelli, nella mia anima.
Non è dalle insegne al neon che trarrò energia, né col rumore del traffico che mi rilasserò. Ovunque, il verde è talente brillante da abbagliare, e le foglie si muovono sotto la pioggia incessante come animate da minuscoli esseri che saltellano da una all’altra, animati da un entusiasmo selvaggio. La curiosità muove questi esseri che, saltando da una foglia all’altra, ci inseguono nella nostra passeggiata, nascosti, come per spiare cosa faremo, dove appoggeremo il piede la prossima volta, dove gireremo lo sguardo al passo seguente. E non faccio a tempo a girarmi, attivata da un altro movimento di foglie, che son spariti nuovamente, nel verde, lasciando dietro di loro solo le gocce che decorano il paesaggio. Non è un marciapiede il mio paesaggio preferito, né dalla ringhiera di una terrazza che vorrò guardare il mondo. Preferisco bagnarmi fino al midollo, con le mani bagnate e fredde nonostante sia piena estate, e inventarmi storie sul bosco e sugli animali che non ho mai visto ma chissà quante volte hanno visto me.

…e il tradimento da fine libro.

Arrabbiata, tradita. Sola.

Leggo, non molto ma leggo. Leggo storie immaginarie di famiglie sgangherate con nomi assurdi, fiabe di bimbi che saltano nel tempo, pippe storiche finte di casate mai esistite e intrighi inventati. Leggo e mi ci perdo.

Mi faccio coinvolgere, emozionare, mi perdo tra le parole e le pagine e le righe. Salto frasi a piè pari per divorare il contenuto, vinta dalla bramosia e dalla fretta di voler sapere cosa succede dopo, perché se non mi sbrigo la vicenda scappa, continua senza di me e io mi perdo pezzi. Questo comporta che spesso, quando ritorno coraggiosamente a rileggere un libro, mi ritrovo a leggere frasi mai lette.

Quando è uscito il 7° libro di Harry Potter, in casa velenosamente conteso tra le divoratrici della saga del maghetto saettato, ho dovuto rileggere il libro 6 o 7 volte per comprenderlo appieno. La prima volta leggevo una riga sì 3 no, senza comprenderla, senza davvero leggerla, forse solo vedendola, individuando le parole principali, e intuendone il senso. Nella mia testa uno schema tutto mio di come si poteva articolare la vicenda e via a continuare a divorare pagine su pagine senza pensare se ciò che avevo letto fosse sensato o no.

Immedesimarmi nei protagonisti mi è successo raramente, piuttosto mi siedo accanto a loro osservando avidamente ciò che fanno, ascoltando le loro storie, come una sorta di confidente che comprende e che si preoccupa dei pensieri e dei loro problemi. Un’amica fidata a cui raccontano tutto, anche ciò che non sanno, che ancora non vedono. Sul sedile posteriore delle auto che viaggiano, seduta su una roccia, in piedi appoggiata al frigo della cucina a guardare, ascoltare, vivere, gustare le vicende che mi si distendono davanti, senza poter far null’altro che proseguire e saperne di più, sempre di più.

E poi tutto questo finisce.

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Decalogo del Buon Viaggiatore – Ovvero come evitare di minare la mia già bassa soglia di tolleranza del Prossimo Viaggiante

1. Le tue gambe ingombrano esattamente come le mie. Staremo comunque scomodi, quindi fattene una ragione e fammi posto.
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La Soddisfazione

La soddisfazione ha sfumature diverse per ognuno di noi. Per quanto giochiamo agli eterni insoddisfatti, e LAMENTARSI sia lo sport nazionale per eccellenza, (sticazzi il calcio, visto che ci si lamenta anche di quello), c’è molta più soddisfazione attorno a noi di quanta se ne voglia ammettere. Ecco alcuni esempi.

La soddisfazione è prendere la metro al volo dopo aver corso come un rinoceronte, sguajatamente e perdendo ogni briciolo di dignità. Talmente soddisfacente da non permettere di mascherare il sorrisetto soddisfatto.

La soddisfazione è svegliarsi di soprassalto il sabato mattina alle 8, e dopo 5 secondi di puro terrore realizzare che è sabato. Alzarsi, andare al bagno, sfanculare tutto e tornare a letto come se non ci fosse un domani. O un pomeriggio. O qualsiasi altra cosa degna di nota. Continua a leggere

Cercare stanza

Ormai non è più un mistero: sto cercando casa a Roma. A vedere le pioggie di annunci su Porta Portese e affini sembra assurdo non trovare in tempo zero, invece tutto ciò mi sta rendendo la vita come dire…un po’ difficile.

Stanza numero 1:
arancione fino a metà, a sembrar vittima di un’inondazione di arance. Inquilini solo ragazzi, entusiasti della loro casa, 30 anni in 3, di quelli che la mamma gli manda i bancali di lasagna perché mangia povero caro sennò mi deperisci. Continua a leggere